Domenica 25 marzo 2018 ore 21,15
Lucrezia Lante della Rovere
in
IO SONO MISIA
L'APE REGINA DEI GENI
di Vittorio Cielo
regia Francesco Zecca
con Lucrezia Lante della Rovere
scene Gianluca Amodio
costumi Alessandro Lai
luci Pasquale Mari
musiche Diego Buongiorno
tecnici audio luci Luca Giovagnoli, Lorenzo D'Anna
regista assistente Arcangelo Iannace
produzione Fratelli Karamazov (Pierfrancesco Pisani, Progetto Goldstein)
in co - produzione Fondazione Devlata, DoppioSogno
Liberamente ispirato dalle memorie di Misia Sert, dalle confidenze, ricordi, messaggi, lettere, di Proust, Stravinsky, Diaghilev, Nijinsky, Debussy, Tolouse Lautrec, Picasso, Ravel, Cocteau.
Dopo il successo di “Malamore”, con il quale si aggiudica il Premio Flaiano, Lucrezia Lante della Rovere continua a dare voce a profili di donne straordinarie che hanno costruito la cultura del ‘900, conducendoci questa volta nell’universo di memorie e confidenze della fascinosa personalità di Misia Sert.
Ritratto vivido di una straordinaria mecenate – a lei dobbiamo la scoperta, fra gli altri, di Cocò Chanel - il cui salotto parigino era frequentato da Picasso, Paul Morand, Debussy, fu ritratta da Renoir e da Toulouse Lautrec, ispirò Jean Cocteau per il personaggio della principessa nel romanzo Thomas l'imposteur e fu definita da Proust "un monumento di storia, collocata nell'asse del gusto francese come l'obelisco di Luxor nell'asse degli Champs Elysées".
“Io non partorisco. Io faccio partorire.
Gli uomini hanno bisogno di una sfinge per partorire la bellezza.
Per diventare artisti.
Io li faccio partorire. Li ho fatti partorire, tutti!...
Dicono che il mio talento sia saper annusare il talento...
Dove tutti vedono un nano, io vedo un Toulouse-Lautrec.
Se c’è una tizia muta, a occhi bassi, contro il muro, io sento profumo di Cocò, nel senso che sarà Chanel.
Sono una cercatrice di geni... Una cercatrice di meraviglie umane.
Detesto suonare. Perché amo la musica.
Ho imparato sulle ginocchia di Liszt, vecchio, con i capelli lunghi a bacchetta bianchi, come un salice ghiacciato,la faccia a verruche come la corteccia di un albero.
Con i miei occhi color malva, ho visto ora dopo ora inevitabilmente.
Pablo Ruiz trasformarsi nel mostro-toro Picasso.
Debussy sui miei divani sognare il sesso del fauno.
Cocteau fare la corte agli attori come in Marocco.
Stravinsky incendiarsi nella Sagra di Primavera.
Ravel ricamare musica a dispetto di Satie.
Il carnefice di ballerini Diaghilev, farsi Domatore di Nijinsky, fino a far impazzire il dio della danza.
E Proust, scrivere ogni cosa, ogni parola di tutti. Fino a mettermi nella seconda riga, della prima pagina, della Recherche...
Il suo libro, che non finirà mai perché il Tempo è infinito...
come il genio che divampa negli uomini.
Nelle università la chiamano “cultura”..io la chiamavo averli a cena da me, a casa...”